La giovinezza è non possedere il proprio corpo
né il mondo.
– cesare pavese –
un sempiterno movimento
è la mia capanna.
freme corre insegue il verso
cambia l’orientamento arranca
freme s’avanza pugna
fa un passo di danza
su una sola gamba.
sta in piedi a malapena
e dispersa tra i monti, resiste,
ci vivo io,
puoi abitarci dentro
se di passarci te ne viene voglia.
senza necessità
di inforcar gli occhiali,
lascia stare, non son da pulire i vetri,
il giradischi è rotto ma tu ascolta
di cristalli
questo tintinnare sull’armoniose labbra.
ti placa la sete e quel nodo alla gola
la sorgente limpida che le fa da fondamenta,
c’è terra fertile
su cui imprimere lieve
l’orma più profonda della tua esistenza,
terra creativa
dove incedere non inciampa.
c’è del mare aria di brezza
e dell’aria la spregiudicatezza di chi attraversò lo stretto,
nel camino ardenti le braci
in piena estate
sprigionano dei tuoi occhi
la più intima pupilla
e fuoco, su fuoco avvampa.
tien ferma sul tetto la pioggia battente
ti toglie le scarpe
ti lascia le mani
ti scioglie le membra.
semplicissime cose, respira,
che non hanno pretese,
olio antico che scorre
tra le rughe del pane al suo primo vagito,
un ruggito di fame che scalda le fredde stagioni.
sa scivolar nel sogno se tu lo chiedi,
fino all’alba desta sa tenerti
a raccontar d’alieni e cavalieri erranti.
è questa la mia capanna,
puoi abitarci dentro,
accolta dall’amore
se te ne viene voglia.